Abbiamo tutti in mente un’immagine ben definita di George Lucas, quella di un geniale uomo d’affari capace di mettere in piedi un vero e proprio impero. Coi suoi occhiali, la barba curata ma non troppo e lo sguardo profondo, ci ha sempre trasmesso l’immagine di un uomo brillante e intellettuale. Sarebbe quindi naturale immaginarlo come un adolescente tranquillo, sognante, magari legato ai fumetti o ai libri. Eppure la sua vera natura era ben diversa…
George Lucas aveva un sogno, e non aveva niente a che vedere con lo spazio ma con la velocità.
La prima grande passione della vita di George Lucas, infatti, sono state proprio le automobili. Una passione viscerale, di quelle capaci di togliere tempo e sonno al povero adolescente di turno, che si immagina catapultato su qualche circuito sportivo, pressato in un abitacolo e lanciato a tutta velocità su un rettilineo.
Lucas era solito frequentare il circuito delle corse con una certa costanza, così come era solito fornire qualche prestazione in veste di apprendista presso un’officina, la Foreign Car Service.

Essendo appena quindicenne, George Lucas non era autorizzato a guidare su strada. Il massimo che poteva fare era sfrecciare attorno alla propria abitazione, tra gli alberi di noci. Il padre, George Lucas Senior, autoritario e severo, aveva in parte deciso di assecondare la passione del figlio, non senza qualche precauzione: gli mise tra le mani una vecchia Fiat Bianchina, dotata di un semplice motore a due cilindri. Ben consapevole della passione sfrenata del figlio per la velocità, l’assennato padre aveva ben pensato di affidargli un mezzo di scarsa potenza, così da limitare gli eventuali danni.
Per George Lucas, però, questo non fu un limite, bensì un ulteriore stimolo. Servendosi degli attrezzi della Foreign Car Service, George smontò il motore e lo rimontò a suo piacimento, con l’innesto di nuove componenti, in modo da renderlo competitivo e scattante. Si prodigò in massicce operazioni anche su abitacolo e carrozzeria, che vennero letteralmente segati via per essere ricostruiti da zero con un assetto sportivo e spericolato. Arrivò addirittura a tagliare via il tettuccio, riducendo il parabrezza a una semplice mezza luna. L’abitacolo, dal canto suo, era dotato di cinture di sicurezza solitamente in dotazione alle auto da rally, accompagnate da alcune sbarre protettive.
Il paragone potrebbe far sorridere, ma la Bianchina di George Lucas potrebbe essere definita come l’antenata del Millenium Falcon: esteticamente carente, ma dalle grandissime prestazioni.

Nel 1960, raggiunti i sedici anni di età, George Lucas ebbe finalmente l’opportunità di abbandonare l’appezzamento di terra che circondava la sua casa per esprimere al meglio il proprio potenziale di pilota su strada. L’ossessione per le auto non fece altro che aumentare, diventando una vera e propria ragione di vita. Avrebbe fatto il pilota, ne era ben certo.
Furono soprattutto i suoi risultati scolastici a risentirne. George Lucas non era mai stato uno studente modello, e la crescente passione per i motori aveva aumentato la spaccatura tra il giovane studente e l’ambiente scolastico, che diventò semplicemente di contorno, poco importante. George, in quel periodo, si unì addirittura ad un club di automobilisti con sede a Modesto, i Faros. Nonostante l’aspetto rude e stradaiolo, i ragazzi del club non erano veri e propri teppisti come venivano etichettati da tutti: il giovane Lucas cercò di sfruttare la nuova immagine acquisita soprattutto per rimorchiare qualche ragazza da far accomodare sui sedili posteriori della sua auto, pratica in cui non ebbe mai particolare successo, probabilmente anche a causa del suo aspetto molto minuto.
La passione di George Lucas per la velocità e i motori ebbe una secca battuta d’arresto nel 1962, per la precisione il 12 Giugno. Di ritorno da un pomeriggio di studio particolarmente infruttuoso e a soli tre giorni dal diploma, il giovane Lucas tornava verso casa a bordo della sua Bianchina. Un incrocio sconsiderato come una Chevrolet Impala portò la Fiat fuori pista.
La macchina si ribaltò diverse volte prima di andare a infrangersi contro un albero di noce, accartocciandosi su se stessa e diventando una lamiera potenzialmente mortale. Per sua fortuna, una delle cinture di sicurezza sportive da lui installate cedette al terzo capitombolo dell’auto, sbalzandolo fuori dall’abitacolo appena prima dell’impatto contro il grande albero, che gli sarebbe stato quasi certamente mortale. Se la cavò con un danno ai polmoni, qualche costola fratturata e quattro mesi di riposo assoluto, con i professori che gli alzarono i voti e strizzarono l’occhio alla sua promozione, quasi mossi a pietà dal destino del ragazzo.

In chiave Star Wars, l’incidente ebbe un ruolo fondamentale. Fu proprio la chiave di volta per cui George Lucas decise di abbandonare la folle idea della velocità e delle corse. Aver visto la morte in maniera così ravvicinata gli era stato utile a capire quanto fosse fortunato ad avere una seconda possibilità per combinare qualcosa nella vita. Decise che avrebbe interpretato e vissuto ogni giorno come un extra concessogli dal destino, desideroso di far fruttare questo dono con qualcosa di grande e decisivo.
Risultato? L’iscrizione alla facoltà di Cinema della University of Southern California, di malavoglia finanziata dal padre, George Lucas Senior.
Il resto, amici miei. è decisamente storia.
Una piccola curiosità. La velocità, pur essendo rimasta da parte, non ha abbandonato del tutto la vita di George Lucas: non a caso, è abbastanza comune vederlo andare a zonzo nel paddock di alcune gare di Formula 1, in compagnia di piloti e addetti ai lavori.

FONTE: Geroge Lucas: La biografia
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